Bolivia 2011

Febbraio 2011 – estratto da “Destination South”

Partenza alle sette e mezza da Puno, si costeggia l’enorme lago e si raggiunge la frontiera di Yunguyo dopo circa tre ore. Solite procedure di frontiera per l’uscita dal Perù e l’entrata in Bolivia e sosta a Copacabana verso la mezza, a differenza di Puno da questa sponda il lago appare come un mare visto che non se ne vede la fine. La sosta stimata di quarantacinque minuti viene poi prolungata ad un’ora e dieci, dopo di ché si cambia autobus. Una trentina di chilometri e si arriva a San Pedro de Tiquina dove l’assistente dell’autista ci comunica che dobbiamo scendere dall’autobus ed imbarcarci su una barchetta mentre gli autobus vengono caricati su delle chiatte a motore.

La traversata del tratto di lago dura una decina di minuti, una volta sbarcati a San Pablo di Tiquina si risale tutti a bordo per gli ultimi 112km fino a La Paz. Il paesaggio andino anche in questo caso è costituito da molti campi adibiti a pascoli o coltivazioni, le montagne sono presenti ma più lontane. Poco prima di giungere a La Paz si intravere la maestosa cima innevata del Huayna Potosi.

 

 

La Paz, Bolivia

L’ingresso nella metropoli avviene tramite una zona con le strade ancora non asfaltate e con molte case e condomini di medie dimensioni in costruzione, poco dopo sulla destra si apre l’ampia vallata del Rio Choqueyapu nella quale è adagiata la città.

Nuestra Señora de la Paz, meglio conosciuta come La Paz, si trova ad un’altitudine media di 3600 metri sul livello del mare, ma anche in questo caso non avverto alcun problema con l’altitudine, nonostante la stradina che porta al Loki Hostel sia caratterizzata da una ripida scalinata.

Il giorno seguente mi basta camminare per un paio di isolati per giungere in Plaza Murillo dove si trovano riuniti il Palacio Presidential, quello Legislativo e la Catedral. Proseguo per seicento metri ancora ed arrivo alla chiesa più famosa della città, la Iglesia San Francisco. Immediatamente alle spalle si trova il Mercato delle Streghe che con mia grossa delusione si rivela solo una successione di negozietti e bancarelle che vendono i più svariati souvenir, certo sono anche presenti strani oggetti denominati amuleti e qualche piccolo feto di lama essiccato, ma mi aspettavo qualcosa di meno banale. Terminato il giro nella Zona Central continuo per San Pedro e, senza accorgermene ho praticamente già percorso a piedi metà del centro cittadino. Continuando a camminare mi ritrovo in Plaza del Estudiante, al centro un monumento equestre, poco più avanti la sede dell’Universidad de San Andres.

Lasciando sulla destra i grattacieli di Sopocachi arrivo fino al Teatro al Aire Libre, una sorta di anfiteatro con un fantastico disegno murale su tutto il perimetro esterno. Risalendo la collina ho alla mia sinistra un folto raggruppamento di piccole baracche, che costituiscono il Mercado Camacho, mentre alla mia destra il Parque Central con i campi da calcio e le piste per correre. Ancora un centinaio di metri e mi si apre davanti agli occhi una spettacolare vista sul Puente de las Americas che unisce la zona di Sopocachi a sud-est con quella di Miraflores a nord-est ed ha come sfondo le montagne che circondano la vallata. 

Tornando verso l’ostello per un delizioso pranzetto da 7,50 bolivianos!! si, ho scritto bene, circa 75 centesimi di euro. Se l’altitudine ed il clima non rappresentano un problema durante tutta la strada percorsa a piedi, ci pensa lo smog ad infastidire la mia respirazione.

Faccio appena in tempo a varcare la soglia del Loki che un altro breve, ma intenso temporale si abbatte sulla città, ma ciò non mi dispiace visto che i miei giri li ho terminati ed in televisione trasmettono l’amichevole Germania Italia.

Nel mio itinerario originale La Paz e la Bolivia in generale non erano previste, ma devo dire che per ora non mi dispiace affatto aver preso questa ‘deviazione’ sul percorso. Durante una cena in un ristorantino tipico mi sono anche ricordato che il divieto di fumo nei locali pubblici non è ancora una legge estesa a tutto il mondo, ma finché è una sigaretta, non da fastidio.

 

 

L’autobus da La Paz ad Uyuni impiega tutta la notte e, una volta giù dal mezzo, mi ritrovo in una strada assolata e vengo subito assalito da una decina di persone che pubblicizzano tour per la salina.

Vado a salutare Tim e Sabine (una coppia di olandesi conosciuti a Puno e ritrovati a Copacabana e La Paz) che mi chiedono se ho programmi. Una decina di minuti più tardi decido di aggregarmi al loro tour.

Uyuni ed il sud ovest boliviano

Si parte alle dieci, oltre ai due ci sono Laura, una ragazza canadese, James e Gemma, una coppia di Londra.

Caricati gli zaini sul poderoso Land Cruiser 4500, ci viene presentato Gregorio, il nostro autista nonché guida, e sua moglie Dora che si occuperà di cucinare. Con grande sorpresa da parte dei miei nuovi compagni d’avventura nessuno dei due parla una parola d’inglese e, ovviamente, loro non capiscono lo spagnolo. Pochi chilometri dopo la partenza mi viene assegnato quindi il gravoso compito di interprete essendo l’unico in grado di comunicare con entrambi gli schieramenti.

La prima tappa è Colchani, trenta chilometri più a nord di Uyuni, un villaggio abitato da sessanta famiglie, dove si lavora e raffina il sale, nonché il punto d’accesso più vicino al Salar di Uyuni, la salina più estesa del mondo.

Le strade sono fangose, piene di buche e pozzanghere. Dopo la breve sosta si riprende la marcia verso il Salar che, come probabilmente solo io sapevo, è interamente coperto d’acqua. Ci troviamo quindi a percorrere una sterminata distesa d’acqua alta fino a quaranta centimetri per arrivare all’Hotel de Sal, una struttura costruita interamente di sale. Il paesaggio è surreale, con i riflessi dell’acqua che creano un effetto a dir poco magico, sembra di camminare al di sopra del cielo.

Dopo pranzo si torna in città per recuperare Anita, la figlioletta della coppia e ci dirigiamo al cimitero dei treni, dove sono abbandonati rottami arrugginiti di locomotori. Successivamente giungiamo ad Alota, più a sud, dove alloggeremo la prima notte in una struttura simile ad un rifugio, con un solo servizio igienico per circa una trentina di persone.

La seconda giornata la sveglia è fissata alle sette, colazione e partenza verso la Valle de Rocas, poco distante, caratterizzata da formazioni di lava vulcanica che riproducono varie forme, le più intuibili sono un leone ed un’aquila.

Successivamente raggiungiamo la laguna Hedionda, costellata di fenicotteri. Si prosegue verso la laguna Chiarchiota, degna di nota perché cambia colore a seconda delle condizioni di vento e sole, seguono poi le lagune Honda e Ramaditas prima di arrivare a quota 4700 metri e trovarci di fronte alla Montagna Sette Colori, nome dovuto alla presenza di vari minerali che ne determinano la varietà cromatica.

In seguito ci fermiamo presso l’Arbol de Piedra, una roccia di circa quattro metri a forma di albero e finalmente arriviamo al Parco Laguna Colorada. Veniamo lasciati liberi per un’ora davanti a questo spettacolo della natura che vede qualche antilope a passeggio ed una grossa quantità di fenicotteri rosa che staziona nell’estesa zona lagunare.

Puntuale, un’ora dopo, Gregorio viene a prenderci ed in quindici minuti siamo a Guadalajara, in una struttura molto basilare ma più grande e migliore di quella del giorno precedente. 

Il terzo ed ultimo giorno la sveglia suona all’indegno orario delle quattro, lo sforzo viene però ripagato da un fantastico cielo scurissimo pieno di stelle, si sale sul Land Cruiser e si affrontano nuovamente le strade piene di terra e roccia. 

Sosta presso un geyser artificiale per poi arrivare al Sol de Mañana, una zona di attività vulcanica caratterizzata da geyser naturali che spruzzano vapore fino a cinquanta metri e lava bollente che scorre. Essendo passate da poco le cinque e mezza, è buio pesto e c’è anche una leggera nebbia, scendiamo dal fuoristrada solo io e Tim nella speranza di intravedere qualcosa e scattare qualche foto, ma non ne ricaviamo molto. 

Verso le sette arriviamo alle acque termali ma rinuncio al bagno vista la temperatura esterna e l’orario. Un’ora dopo ci dirigiamo alla Laguna Verde, ultima tappa del giro. L’acqua appare meno verde rispetto a come la si vede in fotografie e depliant, alle spalle della distesa d’acqua salata, spicca il vulcano inattivo Licancabur, con la sua cima innevata coperta dalle nuvole.

Meno di mezz’ora dopo dobbiamo separarci, io e Laura veniamo lasciati in prossimità della frontiera boliviana, dove ad attenderci c’è l’autobus per San Pedro de Atacama, gli altri proseguiranno il giro a ritroso, costeggiando l’altro lato della laguna Colorada per tornare poi nel tardo pomeriggio a La Paz.