Messico 2010

Novembre, dicembre 2010 – estratto da “Destination South”

Ensenada, Baja California, Mexico

Arrivo a metà pomeriggio alla stazione centrale dei bus ed a giudicare dalla cartina è facile orientarsi; le Calle sono numerate e parallele al mare mentre le Avenida hanno dei nomi e sono perpendicolari, pianta romana insomma, come nella mia amata Torino. Certo! Peccato che i nomi delle strade non siano quasi mai indicati, capito il trucco, inizio a contare ed in una ventina di minuti arrivo all’ostello. 

La differenza dalla California americana la si percepisce subito dallo stato di strade e marciapiedi (gli skater infatti si trovano solo nelle plaza) e dalle autovetture meno attuali e più rumorose.

Il ragazzo francese che ho in camerata la prima notte indica Ensenada e la Baja in generale come una ‘California scontata del 10%’ ed in effetti non ha tutti i torti se ci si basa sui prezzi dei locali sulla Mateo Lopez, tutto cambia se invece ci si affida ai supermercati ed agli stand di taco per strada, certo non sono ancora i prezzi ‘da Messico’ che ricordavo dalle precedenti esperienze, ma già la differenza è notevole.

Come al solito viaggio disinformato e giungo qui proprio nei giorni della Score Baja 1000, credo la più importante gara Off Road della Baja California, che parte proprio da Ensenada, per arrivare mille miglia più a sud a La Paz. 

Il tramonto del martedì lo passo a nord della zona portuale, controllatissima dai militari, a guardare l’oceano poco distante da un pescatore, ripensando alle fantastiche giornate trascorse ad Ocean Beach ed alle persone che le hanno rese tali.

Ci siamo, mercoledì 17 novembre 2010, giorno della partenza della Baja1000, che significa altra sveglia a suon di scarichi di Buggy e Truck! e vi assicuro che anche per me che sono un appassionato di motori, non è un bel risveglio! Decido quindi di uscire a curiosare, tanto di dormire non se ne parla.

Chi conosce il mio recente passato sa che son stato a diverse manifestazioni motoristiche, nulla di nuovo quindi, solo una cosa mi fa sorridere, il fatto che per la prima volta sia lo stand CocaCola a dominare su tutti, anche su RedBull! incredibile!

Scusate la piccola divagazione, mi perdo un’oretta tra la folla, poi risolvo le mie missioni giornaliere, visitando da prima il Riviera Pacifico, nato come albergo e casino ed ora centro culturale nonché sede del Rotary Club. 

Poi inverto la rotta, sempre sulla Blvd Costero, raggiungo il Municipio e vago un po’ per la Av. Reforma, alla ricerca della lavanderia indicata sulla guida Lonely Planet, che però non trovo, per fortuna ho ancora qualche indumento pulito.

Tornando indietro mi fermo ad una tienda de cambio dove la simpatica vecchina oltre ad offrirmi il miglior tasso fin ora trovato, mi regala anche un lecca lecca. Poco dopo, quando mi fermo a mangiare un paio di tacos presso l’asadero, è un’altra simpatica vecchina (quasi identica) a servirmi.

L’unico surf shop della città non è altro che una caffetteria con un repertorio di una decina di tavole da surf usate quindi anche qui, niente acquisto. Merenda con un tacos de pescado che gusto al fianco della simpatica figliola della ragazza che me lo prepara.

Avendo già visto la maggior parte dei luoghi d’interesse decido di avventurarmi più a sud a La Bufadora, per osservare il famoso geyser. Le indicazioni che recupero tra ostello e internet non sono difficili da seguire, devo solo prendere un microbus fino ad un certo incrocio e poi un altro fino a destinazione. Il problema sorge quando ti accorgi che le fermate non esistono e devi creartele tu! basta un semplice cenno del braccio quando intravedi il microbus che ti interessa ed è fatta, così per il primo uguale per il secondo. Mezz’ora di statale sul primo, altra mezz’ora di strada tortuosa sul secondo, tra foschia che copre il mare e foschia che annebbia i pensieri di un messicano semi ubriaco che tenta di parlarmi in inglese quando avevo già ben specificato che lo capivo benissimo in spagnolo, e sono a destinazione.

Una stradina costellata di baracche che vendono i peggiori tipi di souvenir, in buona percentuale chiusi ed un paio di mega ristoranti attira americani, per finire su un terrazzamento che da proprio sull’insenatura dove si verifica il fenomeno per cui ero li.

Un gorgoglio, poi un secondo ed ecco uno spruzzo di una decina di metri d’acqua e vapore!

Ci siamo solo io, una coppia di jappo (omnipresenti) ed una famigliola di messicani a godere degli sbuffi irregolari. Decido poi, come mio solito, di trovare un altro posto da dove guardarlo, e non contento del mirador, una decina di metri più in su, inizio ad arrampicarmi tra piante e pietre sulla facile parete che sormonta la scogliera. Da sopra si ha una vista migliore di tutta l’insenatura ma si vedono anche meglio i disastri creati dall’uomo per costruire gli edifici di cui parlavo prima. Tornando giù devo resistere alle attenzioni di un piccolo cactus che mi si era affezionato, ma niente di che, gli ho spiegato che la nostra relazione non avrebbe avuto futuro.

Una visita alla storica Cantina Hussong’s e domattina si può ripartire, destinazione Guerrero Negro, 610km più a sud, confine tra la Baja California Norte e la Baja California Sur.

 

 

Sveglia sempre freddina ad Ensenada, chiudo lo zaino preparato la sera prima e mi dirigo alla stazione degli autobus. Giusto il tempo di fare il biglietto e la sorte vuole che il bus parta proprio 5 minuti dopo, tempo stimato per arrivare a Guerrero Negro: 9 ore.

Un’ora la perdiamo nel primo tratto di strada, tra cantieri vari, poi si prosegue.

All’esterno deserto e piante grasse, qualche sosta in piccoli paesini lungo la strada. Verso San Jose uno spettacolare tramonto rosso infuocato e grigio antracite fa risaltare le sagome degli alti cactus che hanno sostituito come scenario gli arbusti di qualche centinaio di chilometri prima.

Arrivo a Guerrero Negro dopo circa dieci ore.

Guerrero Negro, Baja California, Mexico

Passato uno dei tanti check point militari, si entra in Emiliano Zapata, la parte della città ricca di motel ed alberghi. Ne giro qualcuno e scelgo il più economico a parità di servizi offerti, 250 pesos (poco più di 14€) per una camera con letto oversize, bagno privato con acqua calda, connessione internet e addirittura qualche canale di sky sulla televisione! gran lusso dopo 20 giorni di ostelli e per lo stesso prezzo. 

Il mattino seguente mi sveglio bene come non mai dall’inizio del viaggio ed esco alla ricerca di informazioni sulla laguna, le balene, le dune, il faro e le saline.

E’ sabato, tutta la cittadina è in festa, chiedo ad un po’ di persone, mi oriento un po’ con i cartelli un po’ con il gps dell’iPhone, niente, le distanze sono un po’ troppo lunghe per essere coperte a piedi come speravo.

Alla ricerca di una bicicletta a noleggio trovo quello che mi era stato indicato come ‘ufficio del turismo’ che in realtà è poi l’ufficio della Commissione Nazionale delle Aree Naturali protette.

Li conosco Victor, un signore sulla cinquantina che esordisce con una frase del tipo ‘beh se non hai un mezzo tuo, puoi fare ben poco’. Ottimo, sono fregato, contando poi che è bassa stagione e quindi non c’è neppure la possibilità di trovare dei tour o dei taxi onesti per raggiungere i luoghi che mi interessavano.

Giro un po’ con lui a bordo del suo Explorer per trovare chi, secondo lui, avrebbe potuto noleggiarmi una bici, per vedere almeno le dune ed il Faro Viejo, le destinazioni più vicine.

Dialogando un po’ mi aggiorna sulla grave situazione di Chihuahua e di Creel da qualche anno a questa parte, posto che con gli altri avevamo amato, ora in mano a guerriglieri armati. Conversando poi sulle attrattive di Guerrero Negro, mi dice che le balene sono si avvistabili da inizio, metà dicembre, ma che la stagione in migliore è da metà febbraio a metà marzo, quindi posso anche recarmi alla Laguna Ojo de Liebre, ma le possibilità sono scarse, ed inoltre, serve comunque un mezzo.

Dopo una ventina di minuti di tentativi vani, torniamo all’ufficio e mi viene consegnata una mountain bike, senza richiesta di denaro, senza richiesta di un documento o una garanzia. Victor mi dice che per le dune sono circa dieci chilometri e per il faro sei o sette e mi da appuntamento verso sera al mio motel per ritirare la bici.

Inizio a pedalare in direzione delle dune, orientandomi con le indicazioni del mio nuovo amico e con il fedele iPhone con il quale la sera prima avevo mappato un po’ tutta la zona, il caldo non è eccessivo e c’è un piacevole vento che rinfresca la mia pedalata.

La strada diventa da asfalto dissestato a sabbia, poi da sabbia a pietra, poi da pietra a ogni cosa! La pedalata da seduto non è comodissima, visto il sellone largo da bici da passeggio inclinato all’indietro, alterno quindi sessioni in piedi sui pedali a spingere ad altre sulla sella a sfruttare la spinta.

Arrivato in prossimità delle dune incontro il cartello ‘no hay paso’ circondato da filo spinato. Potrò mica fermarmi ora? dopo tutta questa fatica? 

Assolutamente No! inclino la bici al di sotto, e poi faccio lo stesso, c’è ancora un chilometro buono di strada percorribile, tra me e le dune solo la laguna paludosa. Mi fermo a contemplare un po’ il paesaggio e finisco la mia prima bottiglietta di gatorade lemonada. Il ritorno vola via velocissimo, sembro aver scordato ogni sforzo, fatica ed asperità del terreno subiti fino a quel momento.

Bene, missione numero due, il Faro Viejo. Se la ragazza del minimarket dice che è raggiungibile a piedi, con il mio mezzo, tra l’altro marchiato GT come la mia amata ex Punto, ci vorrà un attimo.

Il terreno è ancora più accidentato che per le dune, faccio un paio di pause e mi decido a guardare sull’iPhone quanto fosse attendibile il giudizio sulla distanza comunicatomi. Passa una mezz’ora di pedalata, passa anche un’ora, il faro ancora non si vede, la direzione è giusta e la strada è quella.

Arrivo a destinazione prima che tramonti il sole, mi rilasso, faccio qualche foto al faro in rovina e alle altre dune che si avvistano di fronte.

Mi avvio al ritorno prima che faccia buio e soprattutto perché ho esaurito l’energia delle due banane mangiate per pranzo e mi è venuta fame.

Anche in questo caso il ritorno vola via molto più in fretta dell’andata, non avverto alcun tipo di fatica nelle gambe e pedalo con un buon passo sempre stando su rapporti ‘da tiro’.

Soste di rito per ammirare e godere dello spettacolo del tramonto con il sole alla mia destra e la luna, quasi piena, alla mia sinistra. 

Sorrido pedalando al tramonto, con qualche cane randagio che ogni tanto mi accompagna per qualche metro abbaiando per poi salutarmi.

Una volta tornato alla base, per curiosità prendo il fedele iPhone riepilogo le strade percorse, credevo di aver percorso circa una trentina di km secondo le indicazioni, in realtà ne ho fatti quasi cinquanta, 47,8 per la precisione, tutti di sterrato. Verso le otto, puntualissimo, passa Victor, con il pickup della protezione forestale a ritirare la bici e a chiedermi com’era andata la giornata; felicissimo gliela racconto brevemente e lo ringrazio. 

Il giorno seguente, domenica, lo vivo in maniera molto rilassata e oziosa. Visto che anche raggiungere le saline è un po’ come trovare il biglietto per la finale di Champions, faccio un giro a piedi fino al centro della città per dare uno sguardo alla chiesa, alle strade ed alle abitazioni che la compongono e poi ritorno sulla Emiliano Zapata per pranzare. 

Il bello di viaggiare da solo è che un semplice pranzo a base di pollo arrosto, riso e purea di patate, diventa un interessante dialogo con Ana, la signora dell’asadero, e Daniel, un pescatore che era li a bere la sua Tecate. Approfondisco la questione delle balene, giusto per avere la conferma definitiva che non è ancora stagione. Poco prima di andar via il polpo che Daniel aveva pescato in mattinata era cotto, ed Ana me ne offre un po’, condito con del limone.

Ero giunto in questa cittadina, che prende il suo nome dal relitto della nave Black Warrior, per la curiosità di vedere le balene grigie anche se sapevo che era un po’ presto e per vedere le enormi distese di sale, ho passato invece il mio tempo pedalando un bel po’ nella tranquillità delle strade desertiche e scoprendo le attrattive non pubblicizzate del posto.

 

 

Sette ore circa a sud di Guerrero Negro, le prime attraverso il deserto, poi sulla costa del Mar de Cortez.

Loreto, Baja California, Messico

Arrivo come sempre in serata, il mattino dopo esco in esplorazione, per verificare se effettivamente la cittadina di circa 10000 abitanti è compatta come descritto dalla guida. Ed infatti attraverso la parte pedonale della Salvatierra, ci metto davvero poco a raggiungere la Mision Nuestra Senora de Loreto, ristrutturata dopo i gravi danni subiti a causa dell’uragano del 1829 e che porta sull’entrata la dicitura ‘Cabeza y madre de las misiones de baja y alta California’ a ricordare appunto che è proprio da questa cittadina che è partita la colonizzazione delle due californie, messicana e americana. 

Pochi metri più avanti c’è la Plaza Civica con l’edificio che invece indica a caratteri cubitali la ricorrenza del Bicentenario dell’Indipendenza.

Continuando ancora a camminare ci si ritrova sul Malecòn, il lungo mare che da sul Mar de Cortez, dal quale si intravede la vicina Isla del Carmen.

Così come la cittadina, anche la Marina, il piccolo porticciolo, appare semi deserto; oltre ad una grande quantità di volatili marini e qualche pescatore, non c’è molto. 

Completata la perlustrazione di quasi tutta la griglia delle strade e stradine che compongono il centro, mi spingo un chilometro più a sud, verso Loreto Shores. Il lungo mare non è più caratterizzato dalle grosse pietre come in prossimità della Marina, bensì da una spiaggia di sabbia scura, interrotta di volta in volta da piccoli moli di pietre. Anche in questo caso non c’è praticamente nessuno, al limite della spiaggia sorgono piccole villette di proprietà di americani in pensione. Tornando verso il centro percorro la stradina parallela alle villette del lungomare, che invece è costellata di baracche di legno e mattoni grezzi.

In serata il sole tramonta sulle montagne opposte al Mar de Cortez.

 

 

La mattinata inizia nel migliore dei modi quando, alla stazione dei bus, la paffuta impiegata mi fa il biglietto per La Paz a 499 pesos e non a 770 come mi aveva comunicato il giorno prima il ragazzo che era in turno; 271 pesos equivalgono a circa 3 o 4 pasti!!!

Si parte come al solito in ritardo, si effettua una sosta di un’oretta in mezzo al deserto per un guasto al bus e si giunge a La Paz in tempo per godere del tramonto sulla baia.

La Paz, Baja California, Mexico

Dalla stazione dei bus cammino un po’ per il malecon ed al terzo tentativo trovo, per caso, l’hotel Yeneka, citato anche dalla Lonely Planet, per la sua particolarità. A dire il vero sembra di entrare in uno sfasciacarrozze misto ad un venditore di antichità visti i numerosi resti d’auto ed elettrodomestici.

Avendo a disposizione il bonus dovuto al prezzo differente del biglietto del bus, mi concedo finalmente una cena in un ristorante. Scelgo per l’occasione il Rancho Viejo El Malecon, locale minuscolo con meno di una decina di tavoli, situato sul lungo mare in prossimità del molo turistico. Filetto di pesce alla griglia e una Modelo Especial. Il filetto mi viene servito con una serie di fettine di una particolare arancia verde, che alla vista sembrava lime, un po’ di riso e d’insalata, oltre alle immancabili tortillas che ormai inizio ad usare come il pane, come fanno i messicani e non a trasformare tutto in tacos come fanno i turisti. Assaporo la mia cena in tranquillità, guardando il mare e la luce del faro in lontananza. Passeggiata e sosta su una delle panchine del lungomare prima di tornare verso l’hotel.

Il clima è buono, lievemente più caldo che nelle precedenti tappe, ma piacevole ed assolutamente sopportabile. Cammino senza problemi per tutti i cinque chilometri del malecon in un senso e nell’altro, notando con curiosità le microspiagge poste di tanto in tanto lungo la camminata.

Plaza Constitucion si trova ad un isolato esatto dalla mia attuale dimora, ne approfitto per scattare qualche foto alla Catedral de Nuestra Senora de La Paz risalente al 1861 ma che imita lo stile dell’architettura delle missioni californiane. Non c’è invece più nessuna traccia della cattedrale originale del 1720.

Sempre a pochi passi c’è il Centro Cultural Esperanza Rodriguez concentrato principalmente su opere di artiste della Baja California Sur ma che accoglie anche opere internazionali.

Avendo in hotel la possibilità di utilizzare una cucina, faccio una piccola spesa e poi mi dedico al recupero di informazioni sui mezzi per raggiungere le prossime tappe ideali. Gli autobus ci sono, sono frequenti e piuttosto economici, l’unico problema, anche questa volta, è che alcuni punti e spiagge di mio interesse, necessitano di un mezzo proprio. Beh inutile preoccuparsi ancor prima di recarsi sul luogo, una volta arrivato ciò che succederà, succederà.

Anche il traghetto per il Messico continentale si può prendere da La Paz, Pichilingue per la precisione. Incredibilmente carine le ragazze poste ai rispettivi banchi informazioni di traghetto e autobus, a conferma che non sbagliavo quando pensavo che qui il ‘livello’ è migliore rispetto agli altri posti della Baja fino ad ora visitati.

Nonostante la prevalenza di locali turistici disposti sul lungo mare, basta tenersi un paio di vie a distanza per trovare qualcosa di un po’ più locale, come il concerto del giovedì sera di un gruppo di assurdi individui che proponevano un genere inspiegabile tra il rock e lo ska ma con all’interno un sacco di altre contaminazioni, pubblico in delirio ovviamente.

Sempre nelle strade più interne riesco a pranzare in un cafè con sola clientela locale e finalmente con un menù completamente originale, ovvero che esclude ricette adattate ai gusti americani.

Altri chilometri camminando sul lungo mare nel pomeriggio, qualche ricerca ancora su Todos Santos, un ultimo spettacolare tramonto sulla marina, poi mi preparo un piatto di pasta ed infine passo la serata sul lungo mare.

 

 

Todos Santos, Baja California, Mexico

Poco più di un’ora verso sud ovest da La Paz e giungo a Todos Santos, nuovamente sulla parte esterna della penisola e quindi sull’oceano pacifico.

Leggendo sulla guida ero al corrente che la cittadina non fosse direttamente sul mare, ma la curiosità mi fa fermare qui.

Dalla fermata dell’autobus le strade asfaltate sono solamente due, il resto è tutto sabbia. Orientarsi non è difficile perché anche qui la pianta è quadrata.

Il primo impatto è buono, poca confusione, case e strutture basse, molta vegetazione. Cammino avventurandomi per le stradine per cercare un posto dove passare la notte, trovato l’hotel indicato come il più economico arriva la brutta sorpresa; in primo luogo non è economico come pensavo ed in secondo luogo, anche essendo il più vicino al mare, mi viene confidato da chi ci lavora che il mare è ben lontano.

Appurato questo, continuo a passeggiare e valutare altre soluzioni, poi mi fermo a mangiare un paio di tacos di camarones (gamberetti) per fare un punto della situazione.

Ok, la cittadina mi ispira, però, per il prezzo che andrei a pagare e per il fatto che manca l’accesso al mare non trovo un motivo per fermarmi. Finito il piccolo ma gustoso pranzo torno verso la fermata dell’autobus e pochi minuti dopo riparto per Cabo San Lucas.

 

 

Cabo San Lucas, Baja California, Mexico

Arrivo nel tardo pomeriggio e, cosciente che mi trovo nella località più cara della Baja, inizio a cercare una sistemazione il più possibile economica.

Dopo qualche tentativo, vengo consigliato da un collega receptionist su un piccolo albergo che fa al caso mio.

Sorrido al pensiero che nella località più cara, ho trovato quello che al momento è il prezzo migliore da quando sono in questa penisola.

Un momento, c’è da dire che la camera non è in ottime condizioni strutturali e non splende neppure per pulizia, non c’è internet e l’acqua caliente è appena tiepida. Trovo il lato positivo, sto spendendo poco e finalmente ho modo di testare il piccolo e tecnico sacco a pelo che mi porto dietro da un mese.

Sistemata la faccenda, mi avvio in direzione della marina, la zona portuale, con la speranza di cenare in tranquillità guardando l’oceano.

Niente di più sbagliato, in un quarto d’ora mi trovo nel bel mezzo di un miscuglio tra Cancun e Montecarlo!

L’Avenida Cardenas è infatti colma di locali, tra cui addirittura Starbucks e l’Hard Rock Cafè e, subito dopo la zona della Marina è in realtà l’attracco di barchette e barche più grosse, circondate da locali di lusso e ristoranti in cui le portate principali costano ben più della mia camera d’albergo. A coronamento di tutto ciò, il fatto che i prezzi esposti siano in dollari americani. 

Scambio qualche parola con due ragazzi argentini che vendono collanine seduti per terra e abbastanza deluso dalla scoperta ritorno verso il downtown per cenare.

Al ritorno in camera una strana sorpresa, la piccola e scassata televisione ha circa una settantina di canali satellitari, tra cui uno che trasmette Planet Terror ed a seguire Grindhouse, a Prova di Morte. Incredibile contando lo stato della bettola in cui sono, con vari segni d’usura su muri ed infissi, ma con la tv satellitare.

Il mattino seguente passo un po’ di tempo su una spiaggetta semi deserta poco oltre la Marina e, tornando indietro, mi informo per una barca che mi porti verso Land’s End. La ricerca è rapida e breve, poco dopo sono su una piccola barca, sosta su Playa Médano a lasciare due americani e poi riprendiamo la via del mare. Pancho, il barcarolo con la maglietta con vari teschi pirateschi, mi porta a destinazione spiegandomi di volta in volta dove ci troviamo e soffermandosi per permettermi di scattare delle fotografie.

Arriviamo così al famoso Arco, una formazione di granito che da su un lato sul Mar de Cortez e sull’altro sull’Oceano Pacifico. Sempre li vicino una piccola colonia di leoni marini ozia tranquilla su uno scoglio.

Ripercorrendo la stessa rotta ci soffermiano nei pressi del Dito di Nettuno, una roccia alta circa 24 metri, poi la Ventana sul Pacifico e la Playa del Amor, che si estende dal mare all’oceano. Si giunge infine alla Cueva de San Andres, una grotta scavata nella roccia, dove, come dice Pancho ‘te vas en dos te sube en tres’ (entrate in due ed uscite in tre).

Un paio di soste ancora in punti strategici per osservare il fondale e le varietà di pesci, grazie a due lastre di vetro poste sul fondo della barca. Si fa miscela e si torna al porto.

Pomeriggio di relax su Playa Médano ad aspettare il tramonto, in serata un po’ di stanchezza mi fa confondere una festa di compleanno per un ristorante, ma fortunatamente intravedo la mega torta ed evito la figuraccia.

 

 

San José del Cabo, Baja California, Mexico

Lasciata la bettola di Cabo San Lucas, l’autobus impiega una mezz’oretta per percorrere i 32km fino a destinazione. Mi oriento con la guida verso la zona centrale della cittadina, dove ci sono gli alberghi ‘normali’ diciamo, visto che sul lungo mare, o zona hotelera, sorgono i vari resort e mega alberghi.

Fa caldo, la zona è composta da piccole strade piene di salite e discese, marciapiedi a volte presenti, a volte assenti, pieni di scalini, dislivelli e salti.

Giungo presso quello che è indicato come ‘Nuevo hotel San José’ ma in realtà soggiorno poi presso il bed and breakfast ‘Cielito Lindo’ che credo abbia rilevato e ammodernato la struttura, infatti la mia camera che è la più economica ha già un buon livello di comfort.

Il centro storico è anche il distretto dell’arte e non ci va molto a capirlo viste le numerosissime gallerie d’arte che costellano letteralmente le varie stradine, alcune trattano semplici manufatti dell’artigianato, altre quadri molto colorati, altre ancora sculture molto particolari o oggetti d’arredamento.

In pochi minuti si arriva a Plaza Mijares, la piazza principale di San José, dove sorge la Iglesia San Josè, una replica della missione originale. Tutto intorno alla piazza ci sono edifici storici dei colori più vari, molti dei quali adibiti a piccoli e costosi ristoranti o a gallerie d’arte.

Camminando qualche chilometro, servendomi di un lungo ponte, attraverso la zona denominata Estero San José, una particolare riserva naturale formata dall’accumulo di acqua piovana e acqua di mare che all’apparenza può sembrare una palude ma in realtà accoglie una varietà di uccelli migratori e acquatici e vari rettili, unica a quanto dicono. Giungo così a Puerto Los Cabos con la sua piccola marina affollata di barche e una megastruttura in costruzione.

In serata il vento inizia a farsi più forte ed il clima diventa fresco, quasi freddo.

Il giorno dopo mi sveglio piuttosto presto e bello motivato! Trovo chiusa la Pancake House e quindi mi butto su una colazione a base di sola frutta con due arance, due mele e due banane. Dentro lo zainetto la fedele lycra e mi avvio verso le spiagge della Costa Azul.

Circa tre chilometri di strada ed un paio ancora di spiaggia e sono su Playa Costa Azul. Spiaggia piuttosto estesa di sabbia bianca, mare quasi piatto e pochissime persone oltre a me. Mi incammino verso gli spot indicati nella speranza che la situazione cambi. In prossimità di Zipper’s la ragazza della casupola del surf shop mi chiede se ho bisogno di affittare una tavola, sorridendo le rispondo che la prendo se lei mi indica le onde su cui utilizzarla, visto che io non le vedevo. Si mette a ridere anche lei e mi dice che purtroppo non è la stagione più adatta, salvo qualche mareggiata, il periodo migliore è l’estate e mi consiglia la zona di Todos Santos, ovviamente da andarci in auto o ancor meglio fuoristrada. Proseguo verso The Rock e grazie al fatto che la marea è bassa riesco ad attraversare la scogliera e godere delle piccole grotte scavate dall’acqua, per poi giungere nei pressi di Cabo Surf.

Tornando indietro volgo lo sguardo dalla parte opposta al mare e noto tutti i vari resort e mega alberghi che sovrastano la spiaggia, uno spettacolo indecente di cemento.

Trarscorso un po’ di tempo in spiaggia torno poi alla base nel tardo pomeriggio, ed inizio le mie ricerche per pianificare il proseguo del viaggio.

Tra un paio di giorni sarò a Mazatlan, dove rivedrò Jared e poi dovrei andare a Sayulita.

Come dice anche la descrizione, una Burro Brown è l’ideale per scaldarsi in una serata fresca, perché quindi non prenderne una presso Baja Brewing Co., a meno di cinquanta metri dalla base, serve ottime birre artigianali. Il giorno seguente trascorro poi una piacevole mezz’ora a parlare con Rafael, che lavora proprio nel retro, dove si producono ben 8 qualità di birra differente.

Tornato in hotel per capire meglio una questione sulla mappa, trovo l’intero staff a pranzo e mi viene offerta una porzione di uno spezzatino stracotto con del riso, accetto e ringrazio. 

Più tardi un saluto alla spiaggia ed una merenda a base di croissant e baguette trovati per caso in una panetteria francese, ogni tanto ci va una pausa per tornare ai sapori europei.

 

 

Per la prima volta sono costretto a rispettare una sveglia, visto che c’è un solo bus che porta direttamente al porto di Pichilingue e quelli che portano a La Paz, arrivano a destinazione troppo presto o troppo tardi per prendere poi la navetta di collegamento.

Mi dirigo verso la stazione degli autobus, con la speranza di trovare finalmente aperta la Pancake House li di fianco ma niente da fare, per il terzo giorno di seguito la trovo chiusa, probabilmente ha un’apertura stagionale oppure ha definitivamente cessato l’attività.

Circa quattro ore ripassando attraverso le mie ultime tappe e giungo al porto, biglietto fatto e circa tre ore da attendere per l’imbarco.

Verso le diciotto arriva il minibus che, a gruppetti di quindici persone, conduce al traghetto. Il semaforo random questa volta si accende di rosso e son costretto ad aprire lo zaino per il controllo doganale, ma dura appena pochi secondi e mi viene poi augurato buon viaggio dal giovane soldato.

Una volta a bordo, mi avventuro in cerca del ristorante e capisco dai cartelli che si ha diritto ad una ‘cortesia’ che può essere rappresentata dalla colazione al mattino o, appunto, dalla cena la sera e ne approfitto. Dopo cena torno sulla mia poltrona, cambio posizione più volte sfruttando anche quella di fianco che era libera ma diciamo che riesco a riposare discretamente fino all’indomani.

Mazatlan, Mexico

Lo sbarco avviene in tarda mattinata, attraverso il centro in una mezz’oretta passando per la Cattedrale e per vari mercati, si respira un po’ l’atmosfera da cittadina pugliese, e giungo sul lungomare.

Mi accorgo subito del passaggio dal Messico più statunitense della Baja California a quello più messicano dello stato di Sinaloa perché attraversare le strade diventa un gioco di abilità e le cortesie degli automobilisti verso i pedoni qui sono una rara eccezione. Non è difficile orientarsi, basta proseguire lungo la striscia che costeggia l’oceano, ma tento di ricordare qualcosa della mia precedente esperienza qui.

Trovare una sistemazione non è cosa semplice, in questi giorni infatti la città è sovraffollata dai partecipanti alla Gran Maratona, come per Ensenada e la Baja 1000 anche in questo caso si tratta di un evento molto importante che richiama molta gente, e di conseguenza i prezzi salgono.

Camminando ho modo di vedere il Monumento Al Pescador e quello dedicato a Lola Beltran e di rivedere i caratteristici pulmonia, piccoli taxi su base maggiolone Volkswagen che corrono su e giù per il lungomare con la musica a tutto volume suonando il clacson per attirare l’attenzione dei turisti o di altri potenziali clienti.

Dopo un po’ di ricerche infruttuose presso gli hotel che avevo segnato, e lo zaino che inizia a far sentire il suo peso sotto il sole, trovo un piccolo hotel circa sei isolati verso l’interno rispetto all’edificio a forma di castello, unico riferimento che ricordavo bene. Il primo con un discreto livello di pulizia e ad un prezzo molto conveniente! Ad esser sincero ne avevo trovati un paio più economici, ma un conto è voler distribuire bene le spese, un altro è andare a cercarsi le malattie dormendo nella sporcizia. 

L’unica connessione ad internet disponibile è quella del computer della signora che gestisce la struttura ma non è un problema, pochi isolati prima avevo trovato la rete wireless non protetta di un altro hotel e ne avevo approfittato per mandare la mail a casa come di consueto.

Trovato un tetto, mi dirigo poi verso la spiaggia andando verso nord, attraverso la Zona Dorada ed arrivo fin quasi alla Marina, ma niente, nessun ricordo ad eccezione appunto del ‘castello’ . Anche qui ci sono poche onde e scomposte, in acqua solo un gruppetto di ragazzi con il boogie (bodyboard).

Tornando indietro percorro invece la Camaron Sabalo e, fermandomi a dare un’occhiata ad un Surf Shop, mi rendo conto che ha un’aria familiare; si tratta proprio del negozio dove avevamo noleggiato i boogie e, alzando lo sguardo, riconosco l’edificio nel quale ben sette anni prima avevo condiviso l’enorme appartamento con Lollo, Guino, Lele e Sicce. Scoppio subito a ridere incredulo, contento ed emozionato. Guardandomi però intorno, non riconosco quasi niente di ciò che ricordavo, la zona è cambiata molto ed è ancora più affollata di locali ed edifici. Ritrovo però il chioschetto dove compravamo le bottiglie da un litro di Sol di cui era sempre pieno il nostro frigo, per poi riportarle vuote per ricevere indietro la cauzione di qualche pesos.

Mi fermo in prossimità poi del Monumento Milenio per godere del tramonto con il sole che pian piano si nasconde dietro Galt Island, subito di fronte. Sfinito torno verso l’alberghetto dopo aver percorso una bella somma di chilometri.

Nella zona compresa tra lo stadio Teodoro Mariscal ed il lungomare fervono i preparativi per la XII Gran Maraton Pacifico, sponsorizzata dall’omonimo marchio di birra.

In spiaggia invece sembra un tipico week-end estivo, nonostante il calendario indichi che mancano poco più di una ventina di giorni al Natale, c’è gente sdraiata al sole, pic nic di intere famiglie e qualcuno in acqua che nuota o si diletta con il boogie; sotto le capanne si grigliano grossi quantitativi di pesce e la festa va avanti. La sera la temperatura è fresca, il lungomare affollato e numerosi fuochi d’artificio illuminano un cielo senza luna.

Il resto del mio soggiorno lo trascorro con lunghe camminate e un po’ d’ozio in spiaggia.

Lascio Mazatlan con due ricordi. Quello bello legato al fatto di aver rivisto Jared, con il quale siamo stati un’oretta a raccontarci come abbiamo passato le tre settimane dopo aver lasciato Ocean Beach e quello brutto che si identifica in un’escoriazione al palmo della mano sinistra, causata dalla caduta nello scendere dal microbus che non s’è fermato quando e dove doveva.

 

 

Tepic, Nayarit, Mexico

Occorrono circa quattro ore di autobus per giungere a destinazione. Il paesaggio esterno varia da campi coltivati a piccole montagne per poi inoltrarsi nella fitta vegetazione, al tramonto il cielo assume un colore violaceo. Una volta arrivato mi dirigo all’Hotel Tepic, praticamente attaccato al terminal. Ho bisogno solo di un letto nel quale dormire qualche ora prima di ripartire ed una doccia calda, quindi le mie aspettative sono piuttosto basse. Mi ritrovo invece in una camera molto piccola, ma accogliente e pulita; oltre all’asciugamano personalizzato anche il set di cortesia, televisione via cavo e connessione ad internet. Cena dal vicino Pollo Feliz, esattamente dalla parte opposta della stazione degli autobus e torno in camera per godere finalmente di una bella doccia calda e poi relax davanti a Fuel Tv.

La notte dormo piuttosto bene, nonostante i vari rumori dovuti dalla vicinanza al terminal e credo anche di uno snodo ferroviario.

Il mattino dopo mi dirigo in stazione dove l’autobus per Sayulita parte esattamente cinque minuti dopo. L’impiegata alla biglietteria prova a mettermi fretta, ma io so benissimo che gli orari non vengono mai rispettati e me la prendo con comodo. 

Ci vanno circa tre ore per percorrere appena centotrenta chilometri di strada, spesso in condizioni poco sicure, ricca di curve che si snodano in zone di fitta vegetazione.

Sayulita, Nayarit, Mexico

Arrivo nel pomeriggio e percorro la strada che porta dalla fermata dell’autobus sulla strada principale al paese, circa un paio di chilometri.

Ricordo abbastanza bene il paesino di circa 1600 persone, che vive principalmente di turismo, noto però la mancanza del ponte di legno che attraversava il fiumiciattolo che divide in due la cittadina. Sostituito da una pensilina pedonale in metallo bianco, scoprirò in seguito che è crollato a causa di una piena durante la stagione delle piogge, incredibile visto che durante tutto l’anno il fiume non è altro che un canaletto d’acqua alta pochi centimetri. Le strade che compongono la cittadina sono coperte di fango e con varie pozzanghere e possono dare l’impressione di essere in costruzione o ammodernamento, in realtà erano così, sono così e continueranno ad essere così. A colpo sicuro mi dirigo verso la spiaggia su cui sette anni prima avevamo trovato ospitalità in cabaña, ovvero il camping Camaròn. 

Tutto identico, tranne per il fatto che essendo da solo, mi sembrano un po’ troppi 250 pesos (circa 15,00€) a notte per la capanna che mi viene proposta dalla stessa signora hippie che trovammo in passato. Poco distante c’é l’hotel Casa Amistad (http://www.hostalsayulita.com nel prezzo include anche la possibilità di utilizzare delle tavole da surf e l’attrezzatura da snorkeling), un piccolo ostello molto carino e pulito, gestito dalla gentile signora Connie, in cui trovo sistemazione.

Nel frattempo ho modo di conoscere lo spagnolo Miguel ed  il canadese Ariel, quest’ultimo sta facendo all’incirca un viaggio simile al mio.

La nottata in ostello è fresca, vista l’assenza di finestre nella piccola camerata open-air, gli uccelli fanno parecchio rumore con i loro canti e non mancano i fuochi d’artificio per la settimana della Vergine di Guadalupe, senza dimenticare i galli che iniziano a cantare verso le tre di notte.

Il giorno dopo in spiaggia con Ariel conosciamo Carola, una simpatica cilena che ci indirizza presso due case che affittano camere. La nostra scelta ricade su una stanza al primo piano di Casa Gloria, un po’ più luminosa e spaziosa delle altre, con un bagnetto e una cucina molto basilare, il tutto per 350 pesos a testa a settimana (il che significa 3€ al giorno per persona).

Tornando in spiaggia incontriamo il vecchio Gary, un signore americano studioso della cultura Maya, grazie al quale io ed il mio nuovo coinquilino scopriamo di essere nati lo stesso giorno dello stesso mese, ma con dieci anni di differenza (io sono il più vecchio). 

Miguel, come promesso, nel frattempo in ostello aveva preparato tre pesci cotti al forno piuttosto buoni, ottimi in relazione al fatto che abbiamo speso quello che si spende per un paio di tacos.

Preso possesso della camera torniamo in spiaggia per godere del tramonto aggregandoci al gruppetto composto da una simpatica coppia argentina, Ulises, Pati, Ben ed altre persone.

Il comfort nella piccola stanza non è il massimo, tuttavia per una settimana va bene per risparmiare un bel po’ di pesos in vista dell’arrivo delle festività e soprattutto del lungo viaggio che mi aspetta dal Messico alla Costa Rica.

Nel tardo pomeriggio del giovedì, un ragazzo con una Nissan grigia si ferma a chiederci indicazioni per un campeggio, ma poco dopo scopriamo che si tratta di Rodrigo, ventenne di Ciudad Obregon (Sonora, Mexico), amico di CoachSurfing di Ariel e decidiamo di ospitarlo nella nostra stanzetta.

Trascorriamo piacevolmente la serata prima sulla spiaggia e poi al Don Pato Bar, per assistere all’esibizione di un gruppo reggae consigliatoci da alcuni ragazzi qualche ora prima. Infine concludiamo la serata sulla piazza e con una rapida visita ad un discopub che sorge sul lato opposto rispetto al Don Pato.

Purtroppo le onde del venerdì pomeriggio non sono un granché, così Rodrigo deve rinunciare alla sua lezione di surf, successivamente ci aggreghiamo agli altri ragazzi davanti al Camaròn per aspettare il tramonto con una chitarra, una tastiera a fiato ed un cubo per percussioni, suonando, canticchiando e giocando con i due grossi cani che ci facevano compagnia. Durante queste due ore circa, sulla spiaggia con dei perfetti sconosciuti, l’oceano da una parte e le palme dall’altra, mi è capitato più di una volta di isolarmi involontariamente dai discorsi per cadere nei pensieri e ragionamenti più svariati. Una sensazione di benessere circolava in me appagata dal pensiero che non avessi bisogno di nient’altro, e che il tutto sarebbe stato ancora più completo nel momento in cui la mia mano fosse guarita completamente e la mareggiata avrebbe finalmente portato onde migliori. 

Il sabato si ripete la nostra piacevole routine con l’eccezione che mentre il nostro variegato gruppetto aspetta il tramonto con la rinnovata (grazie al mio temperino svizzero) chitarra, i discorsi, il rum scuro e le noccioline, in acqua è il turno di quattro o cinque pro surfer che nella zona rocciosa dello spot approfittano delle onde portate dalla mareggiata mentre un fotografo con un enorme supertele si occupa di immortalarli.  Verso sera Rodrigo ci lascia per dirigersi a Puerto Vallarta, noi altri ci riuniamo attorno ad un falò e continuiamo, in disparte rispetto ai festeggiamenti che si svolgono in prossimità della Plaza.

Arriva domenica e mi sveglio insolitamente presto. L’atmosfera è la solita di ogni altro giorno con i vecchietti che chiaccherano sulle panchine nei pressi della biforcazione e vari venditori occupati a disporre le loro merci sulle bancarelle, mancano solo le flotte di gringos che probabilmente stanno ancora dormendo dopo i vizi del sabato sera. Ne approfitto per una breve visita alla Galleria Tanana che espone varie opere Huichol ma a prezzi incredibilmente alti rispetto a quanto avevo speso io qualche anno prima nella periferia di Tepic per comprare i quadretti fatti a mano ai quali è anche ispirato il mio primo tatuaggio.

Passeggio fino in spiaggia ad osservare un po’ la situazione delle onde, che sono piuttosto disordinate, e poi fino al tratto poco a nord del Camaròn per sdraiarmi e continuare la lettura de ‘I Vagabondi del Dharma’ di Jack Kerouac. Ogni volta che il sole è un po’ troppo caldo pongo rimedio tuffandomi e nuotando per qualche minuto, ignorando che sia praticamente metà dicembre. 

La routine delle giornate e la magia delle serate si ripete il lunedì ed il martedì, il mercoledì è ora di lasciare la piccola camera e dirigersi a sud.

thanks to: Miguel, Connie, Ariel, Rodrigo, Ulises, Pati & Ben, Carola, Sanaya, Pat, Sonia and all the group…

Il martedì sera a Sayulita è sinonimo di microfono abierto al Don Pato, così come per la mia prima sera trascorro anche la mia ultima sera in compagnia di alcuni dei miei nuovi amici, ascoltando le performance di improvvisati chitarristi, cantanti e percussionisti. 

Il mattino dopo sveglia verso le nove, un ultimo controllo al bagaglio e sono pronto. Con Ariel recuperiamo il deposito dalla signora Gloria, salutiamo lei e Nacho e ci avviamo, io verso la fermata dell’autobus che porta a Vallarta e lui in spiaggia.

Salutato il mio coinquilino, gemello in differita, percorro gli ultimi metri fermandomi più volte a riguardare un po’ la familiare cittadina e sorrido, certo che si tratta di un arrivederci.

Un’ora dopo sono a Puerto Vallarta, purtroppo non ci sono autobus per Puerto Escondido, la robusta impiegata mi consiglia quindi prima di arrivare fino ad Acapulco e poi da li prendere la coincidenza. Tempo previsto diciotto ore, ce ne vorranno poi circa una ventina. Arrivato ad Acapulco ho tempo di fare colazione e un paio d’ore dopo si riparte per altre nove ore di autobus.

 

 

Puerto Escondido, Oaxaxa, Mexico

Arrivo in serata, un po’ intontito, l’unico modo di orientarsi è costituito da una mappa pubblicitaria posta all’uscita dalla stazione degli autobus grazie alla quale capisco di essere un po’ fuori dalla zona del centro e delle spiagge, al ché mi affido per la prima volta, dopo oltre un mese e mezzo, ad un taxi essendo ormai troppo tardi per i trasporti pubblici ed abbastanza stanco per camminare senza meta.

Due parole con il giovane autista, trentacinque pesos e dopo una quindicina di minuti vengo condotto al Buena Onda, un misto tra un ostello e un camping.

L’ambiente è carino, l’accoglienza buona ed il prezzo anche, decido di fermarmi, visto anche che erano ormai quasi le undici di sera.

Sistemazione in camerata da quattro, piccoli ma puliti i letti a castello e fortunatamente dotati di zanzariera.

Il mattino dopo mi sveglio sul presto e, curioso di vedere un po’ dov’ero realmente capitato, esco dalla camera e mi ritrovo a circa trenta metri dalla spiaggia.

L’ostello si trova infatti a  Brisas de Zicatela, a sud est di playa Zicatela e di Puerto Escondido, in seguito mi accorgerò che si tratta proprio di una delle spiagge che mi aveva consigliato Pati qualche giorno prima a Sayulita.

Passo la giornata in giro ad informarmi un po’ sugli  orari migliori e sulla mareggiata, oltre che a camminare per le stradine guardandomi un po’ in giro. Verso le cinque del pomeriggio, assisto al mio primo tramonto qui, mentre a Torino è già mezzanotte e quindi teoricamente ho trent’anni! Verso la mezzanotte locale ricevo poi gli auguri nelle lingue più svariate.

Metà mattinata, del mio primo giorno da trentenne, decido di camminare un po’ sulla spiaggia e senza accorgermene arrivo fino a Playa Zicatela, dove effettivamente le onde non sono male. Incontro Avi, il ragazzo israeliano con cui sono d’accordo per l’acquisto della sua tavola una volta che lui avrà terminato il suo soggiorno e me la fa provare. La misura è un po’ piccola per me, dopo qualche frullata riesco però a prendere una sinistra fino in fondo.

Al ritorno decido di concedermi un Cornetto Algida che diventa un po’ la mia ‘torta di compleanno’ poco prima di godere di un altro favoloso tramonto.

La domenica arrivo fino alle due spiagge della Bahia Principal, playa Marinero e Principal, ed è come trovarsi sulla riviera romagnola in pieno ferragosto! Schiere di famiglie occupano praticamente ogni centimetro quadrato di sabbia e bambini ovunque che giocano e strillano.

Torno indietro giusto in tempo per dare il mio contributo segnando un goal in contropiede nella partitella tre contro tre improvvisata sulla spiaggia proprio davanti all’ostello. .

Il giorno dopo Avi parte per Tapachula ed io ho finalmente tra le mani il mio regalo di compleanno. Non mi resta che fare una passeggiata fino al laboratorio di ODY, uno shaper locale per comprare il leash e farmi regalare un paio di tavolette di cera e la chiavetta per smontare le pinnette. 

La mattinata è ormai andata con le migliori onde e quindi non mi resta che concedermi un’altra bella camminata sulla spiaggia fino a Playa Angelito, tornando in tempo per una nuotata al tramonto con la luna piena che appare alle spalle delle capanne dell’ostello. 

Con la luna piena si verifica anche l’eclissi di luna, con quest’ultima che lentamente assume una colorazione che va dal rosso all’arancio con qualche sfumatura dorata e per qualche minuto un anello bianco. 

Il mattino dopo riesco a passare un’ora e mezzo in acqua a La Punta, per prendere un po’ di confidenza con la tavola e con le onde di questo spot, anche se in questo periodo dell’anno non sono molte. La giornata trascorre rilassata e verso il tramonto esco nuovamente con la mia nuova amica.

Il ventidue dicembre è l’ora dei saluti, praticamente tutti i ragazzi provenienti da Città del Messico tornano verso casa per trascorrere il Natale con le rispettive famiglie. Nel pomeriggio all’orizzonte si vedono delle grosse quantità di schiuma sollevarsi dall’acqua. El Cabeza del chioschetto grida ‘la ballena’ e avvicinandomi al mare per guardare meglio, riesco a vedere abbastanza bene la sagoma del grosso cetaceo che, con dei grossi tuffi, attraversa il tratto d’oceano proprio li davanti.

Un nuovo giorno, la mia solita colazione a base di banane, un nuovo compagno di stanza, l’australiano Brian, che distrugge il mio entusiasmo per la nuova giornata di surf mostrandomi sul suo computer i movimenti del mare da satellite. Poco dopo mi avvio comunque in spiaggia per dare un’occhiata ed ho la conferma definitiva, mare piatto.

Ne approfitto quindi per andare fino al centro e procurarmi il biglietto per l’autobus di sabato pomeriggio, con destinazione Tapachula, la mia ultima tappa in terra messicana.

 

Non riuscendo a star fermo ad oziare al sole, mi incammino verso il vicino faro di La Punta, seguendo le indicazioni che mi avevano dato Diego e Olivier qualche giorno prima. Non c’è modo di accedere alla piccola struttura se non passando via mare oppure arrampicandosi su un piccolo sentiero tra pietre ed erbacce.

La fotocamera è al sicuro all’interno di una delle due borse porta documenti stagne e quindi provo il passaggio via mare, costeggiando la scogliera, ma rinuncio pochi istanti dopo perché la risacca non mi permette di vedere bene il fondale e quindi non so dove mettere i piedi. Torno sulla sabbia e trovo il minuscolo sentiero grazie ad un pescatore che era seduto li vicino. Un paio di metri di scalini fatti di pietra e terra, poi una rocca di circa un metro da scalare e poi ancora un passaggio largo non più di una trentina di centimetri tra pietre ed erbaccia e si arriva su, circa cinque metri d’altezza rispetto alla spiaggia. Un breve cammino di una decina di metri per poi ridiscendere tra scalini naturali di pietre e ritrovarsi in una minuscola spiaggia di sabbia chiara con grosse pietre bianche proprio sotto alla torretta del piccolo faro. 

Decido di proseguire e, una volta superato il faro, mi si apre davanti agli occhi un’ampia e lunghissima spiaggia deserta, oltre a me ci sono tre pescatori e sulla scogliera di fronte una buona quantità di uccelli impegnati anche loro nella pesca. Mi incammino un po’ per la distesa di sabbia e ne approfitto per fare un tuffo nell’oceano per rinfrescarmi, solo quando esco dall’acqua mi accorgo della presenza di alcune strutture in cemento con i tetti di palma che ben si mimetizzano nella selvaggia natura che sovrasta la spiaggia.

Torno indietro ripercorrendo lo stesso sentiero e faccio la conoscenza di Angelina e con lei mi unisco a Jorge, un altro argentino, a sorseggiare Mate aspettando il tramonto. Purtroppo una serie di nubi ci rovina lo spettacolo.

Per la vigilia di Natale mi sveglio presto come al solito, ma le previsioni vengono confermate, a La Punta il mare è piatto, decido allora di optare per una sostanziosa colazione a base di pancake e prosciutto grigliato. Un paio d’ore dopo però incontro Dillon e Julie e mi faccio convincere a seguirli fino a Playa Zicatela. Le onde non sono granché ma qualcosa c’è, quindi entriamo tutti e tre in acqua e passiamo un paio d’ore a destreggiarci tra le forti correnti tipiche di questa zona.

In serata il cenone di Natale, diretto da Brian, prevede una trentina di persone impegnate in varie preparazioni. Dal pesce pescato al mattino e cotto sul fuoco in spiaggia, al ceviche, al riso, pasta e gnocchi e altre diverse cose, ci siamo praticamente tutti.

Anche la mattina di Natale si ripete il piattume, ne approfitto per scambiare gli ultimi contatti con le persone conosciute e preparare la tavola e lo zaino per il pomeriggio, partenza per Tapachula, ultima città in Messico prima del confine con il Guatemala, dalla quale dovrei prendere poi l’autobus per la Costa Rica.

thanks to: Olivier, Diego, Avi, Sofia & Alister, Ana & Robin, Carlos, El Capitan & his crew, Brian, Dillon, Angelina, ODY Surf Shop and all the people meet on the beach…