Messico 2002

Settembre 2002 – estratto da “Del treno e di altri racconti” 

I Maya, lo sciamano, il fuoco e i cani (parte 1)

Probabilmente non sono in molti a saperlo, soprattutto tra le nuove conoscenze, che prima delle tappe messicane del mio recente viaggio, avevo già messo piede nella terra dei Maya per ben due volte.

La prima esperienza risale all’anno duemiladue, ero in compagnia del mio ex compagno di classe delle scuole superiori, Roberto Frank, e iniziammo da Cancun. Ricordo ancora, dopo quasi nove anni, il cielo scuro e l’insolita e fastidiosa pioggerella unite ad un grado di umidità estremo che costituivano il comitato d’accoglienza appena messo piede giù dall’aereo.

Nei giorni a seguire capimmo che queste insolite condizioni atmosferiche erano causate dalla vicinanza dell’uragano Isidor.

Il disastroso evento modificò i nostri piani iniziali e restammo qualche giorno più del previsto in questa specie di paradiso cementato che affaccia sul Mar dei Caraibi, costellato di locali notturni nei quali con un braccialetto all inclusive hai diritto ad un numero illimitato di cocktail annacquati, buoni solo per far ubriacare ragazzini americani in vacanza visto che qui non devi avere ventun anni per bere.

Se per noi voleva dire rimandare solo di un paio di giorni le altre tappe ideali del nostro percorso per gli abitanti del downtown la situazione era molto più grave, a causa dell’acqua che trasformava le strade in corsi d’acqua e del vento che di tanto in tanto sradicava qualche palma per poi distenderla con poca grazia su campi, strade e abitazioni.

Isidor decise poi di dirigersi a nord, verso gli Stati Uniti, e noi riuscimmo a recarci a Isla Mujeres, l’isola delle Donne, che dista appena undici chilometri dalla terra ferma, impossibili da percorrere in traghetto finché c’era il prepotente e dispettoso uragano.

L’isola ha un’estensione di appena otto chilometri da nord a sud, nei quali si trova il parco El Garrafon, solitamente ritrovo di squali, testuggini marine ed altri grossi abitanti dell’oceano, in quest’occasione migrati verso acque più tranquille. Il paesaggio post disastro resisteva splendido e naturale, contornato dall’oceano di un blu intenso e, nella punta meridionale, abitato da numerosi rettili, tra cui diverse varietà di iguana. 

Le serate sono solitamente allietate da feste sulla spiaggia e concerti, anche questi messi in fuga dall’uragano appena passato.

Al nostro ritorno sulla terra ferma il gentile Livio, l’assistente del tour operator, si è offerto disponibile a tenere in custodia i nostri pesanti e scomodi bagagli, ci siamo quindi diretti verso i siti archeologici e le cittadine dell’entroterra con uno zainetto a testa con dentro solo qualche indumento di ricambio, fotocamera e videocamera.

La nostra prima tappa fu Valladolid, cittadina che sorge centosessanta chilometri verso l’interno della penisola dello Yucatán. Dal grazioso giardino pubblico si ha accesso a numerosi mercatini di artigianato locale, nei quali si riesce a comprare, contrattando, ogni genere di articolo. Abbiamo scelto questa ridente cittadina come base ideale per l’escursione a Chichén Itzá che dista appena una settantina di chilometri. 

Le rovine della città preispanica si estendono su un’area di tre chilometri quadrati e rappresentano uno dei più importanti, nonché famosi, siti archeologici della cultura Maya in Messico. Come c’era da aspettarsi non eravamo soli, centinaia di altri visitatori si accingevano a visitare le rovine. Nascondendo bene le attrezzature foto e video dagli attenti sguardi dei vigilantes posti al tornello ci dirigiamo verso la costruzione più famosa del sito, El Castillo ovvero il tempio di Kukulkan, la piramide a gradoni ritratta in cartoline, guide e depliant del Messico. La scalinata che porta in cima è piuttosto ripida ma riusciamo a salire agevolmente, una volta su si gode di una buona vista sul resto del sito. Proveremo più volte ad avvistare l’ombra a forma di serpente che dovrebbe essere proiettata in corrispondenza della scalinata nord, ma senza successo, ignoriamo entrambi che il fenomeno si verifica solo in corrispondenza con gli equinozi di autunno e primavera.

Orientandoci con la guida alla mano ci soffermiamo di volta in volta presso le varie costruzioni, leggendone storia, dettagli e curiosità, visitiamo quindi il Tempio dei Guerrieri con un esercito di colonne intagliate in modo da sembrare guerrieri in plotone, e della parte opposta, superando il Tempio del Giaguaro, il campo del Gioco della Palla, con una specie di cerchio che sembra un canestro, disposto però verticalmente e non orizzontalmente. Terminiamo la nostra visita presso El Caracol, la struttura che fungeva da osservatorio astronomico composta da un edificio rotondo appoggiato al di sopra di una piattaforma rettangolare.

Osservando da vicino la precisione delle architetture di queste maestose costruzioni così antiche, l’idea che qualcosa di sovrumano abbia contribuito all’impresa sfiora più volte il mio pensiero.

Nel tardo pomeriggio, in perfetto ritardo messicano, prendiamo un autobus affollatissimo in direzione Merida, la capitale dello Yucatán. Il tragitto di due ore e mezza verso l’interno della penisola questa volta ci permette di comprendere a pieno quanto sia stato disastroso l’uragano. Quello che fino a pochi giorni prima era un ridente territorio adibito a pascoli e agricoltura, era ora un ammasso di rottami di fattorie e casette, alberi sradicati e rovesciati sulla vegetazione come in una diabolica e sanguinaria insalata.

Robi ha modo di scambiare qualche parola con un ragazzo dell’Ecuador, residente nella zona, che aveva appena perso tutto, la sua casa e il suo allevamento di oltre cinquanta capi, andati, in un attimo. Allo stesso modo però era forte nell’affermare che tutto questo disastro lo turbava fino ad un certo punto e che il giorno seguente avrebbe ricominciato tutto da capo, trasferendosi da alcuni parenti in città e cercando al più presto un nuovo lavoro.

Giungiamo a destinazione in serata ed i volti delle persone che incontriamo camminando verso l’albergo sono tutti segnati dagli eventi.

Dopo una visita alla Cattedrale di San Idelfonso lasciamo la città per visitare i piccoli siti archeologici di Labnà, Xlapak e Kabah, tutti immersi nella vegetazione, raggiungibili tramite deserte strade non asfaltate. Il sito di Uxmal invece vanta imponenti strutture, quasi alla pari di Chichen.

Passeremo un’altra tranquilla nottata a Merida prima di tornare ad affacciarci sulle coste dell’oceano Atlantico.

Quattro ore in direzione sud-est e si arriva a Tulum, un altro importante sito archeologico della cultura Maya, che a differenza degli altri fin ora citati è costruito proprio a picco sull’oceano. Per la prima volta in vita nostra dormiremo in cabañas, delle strutture molto semplici costruite sulla spiaggia con rami di legno che fanno da pareti e foglie di palma che fungono come tetto, all’interno un letto malmesso coperto da una rete per tener lontano gli insetti. Ci troviamo in un paradiso, oltre ad altre piccole costruzioni di legno come la nostra c’è solo sottile sabbia bianchissima e l’acqua chiara dell’oceano, sembra il posto perfetto per passarci tutta la vita rilassandosi, nuotando e dando un’occhiata ogni tanto alle due lesbiche che fanno il bagno nude proprio li di fronte. L’orologio segna le diciotto e cambia tutto, il sole tramonta ed arrivano dei minuscoli e fastidiosissimi diavoli, identificati nella forma di zanzare e altri insetti che rendono quasi inutili le nostre scorte di creme insetticide. Riusciamo a bere ancora qualche birra sulla spiaggia guardando la luna quasi piena che prende il posto del sole, poi ci arrendiamo all’idea che è ora di lasciare spazio alle scorribande dei microesseri e rifugiarci all’interno della zanzariera utilizzando al minimo la luce per non attirare il nemico.

Il mattino seguente è di nuovo paradiso, raggiungiamo a piedi le rovine e trascorriamo un paio d’ore all’interno del sito, poco esteso ma assolutamente spettacolare. Inoltre siamo gli unici due all’interno e possiamo soffermarci senza problemi ad osservare, pensare, fare fotografie e goderci da ogni angolazione il paesaggio del Castillo e dell’insenatura sottostante, dalla guida leggiamo che proprio per la sua posizione fu la prima città Maya ad essere avvistata dagli spagnoli quando raggiunsero la costa messicana.

Lasciato il paradiso inferno torneremo, costeggiando l’Atlantico, verso nord a Playa del Carmen dove ci aspettava Livio per restituirci il resto del nostro bagaglio e presentarci a Pasquale, il simpatico receptionist dell’Hacienda del Caribe, dove ci fermeremo per riposare da tutti i chilometri di cultura godendoci la spiaggia e i localini assaggiando innumerevoli qualità di tequila e mezcal. 

Grazie a questi ultimi giorni il mio amico è riuscito a sostituire la pelle resa bianchiccia dello stress accumulato prima di partire con un bel colorito bronzeo, ma è giunta l’ora di tornare verso Torino. Riguardo il paesaggio dall’oblò dell’aereo prima del decollo con la certezza che si tratta di un arrivederci e non di un addio.