Stoccolma & Co. 2010

Aprile 2010 – estratto da “Del treno e di altri racconti”

Banana Teddy Crew

Quando sei all’inizio di una breve vacanza di quattro giorni e al momento di far colazione esordisci ordinando Montenegro al bar dell’aeroporto di Orio al Serio, puoi già in parte intuire cosa ti aspetterà nell’immediato futuro.

Volo low cost e bagaglio a mano, si decolla puntuali, io ed Andre prendiamo posto su due sedili, Pierre e Chiedy subito dietro di noi.

Durante le due ore e mezza di viaggio c’è chi fa microsonni, chi ascolta musica e chi invece, come Pierre, fa battute su disastri aerei che terrorizzano il compagno di sedile.

Atterraggio in orario a Skavsta, un piccolo aeroporto popolato da fantasmi silenziosi per niente incuriositi o disturbati dallo sbarco di quattro rumorose rockstar, ad un centinaio di chilometri da Stoccolma, la nostra meta.

La strada percorsa dall’autobus verso la capitale svedese si snoda attraverso le foreste che uno si immagina quando segue le istruzioni di montaggio dei mobili Ikea e tratti pianeggianti, ogni tanto si scorge qualche fattoria.

La temperatura è mite (12/14°C) e l’aria fresca ricorda quella alpina, trovato sistemazione presso l’ostello City Backpackers, si giunge in pochi minuti in Sergels Torg, la particolare piazza posta su due livelli caratterizzata da un insolito obelisco in vetro.

Sempre a piedi raggiungiamo senza difficoltà Gamla Stan, la città vecchia composta di vicoli e piazze medievali, senza una meta precisa e senza seguire alcuna mappa. Vaghiamo tra le attrazioni come il palazzo reale Kungliga Slottet ed il Nobel Museet, il museo del nostro ‘caro amico’ Alfredo, così definito spontaneamente da me e Andre.

Tornando indietro percorriamo la Drottninggatan, che può ricordare la nostra Via Garibaldi, via pedonale del centro di Torino, con i suoi numerosissimi H&M. 

Trascorreremo la prima sera sorseggiando qualche birra nella poco animata zona di Medborgarplatsen, poche fermate di metro a sud di Gamla Stan, a detta della guida una delle zone più pericolose. Noteremo una mezza rissa per strada ma ciò non supererà i canoni ideali di pericolosità. 

Nei giorni a seguire approfondiamo le visite a Gamla Stan grazie anche a Mikaela e Sofia, due gemelle svedesi amiche di Pierre, che ci guideranno per altri ponti e stradine fino a giungere al lato ovest da cui si può ammirare una splendida vista sul Stadshuset (il municipio) da Andre rinominato come ‘il Faro’ e li per caso incontreremo Stijn con Hans, i due belga conosciuti in ostello, insieme alle inglesi Sarah e Litz. 

Sorseggiando qualche birra nella grande Karl XII:s Torg, affacciata sul mare, scopriremo un’altra novità della dura legislazione svedese, non è possibile allontanarsi dai locali con le birre in mano, le si deve bere sul posto. 

Guidati dai suggerimenti di due commessi di un negozio d’abbigliamento giungiamo presso l’Harry B James pub con i suoi arredi ispirati alle band Metal e Hard Rock (ma che di giorno fornisce anche sostanziosi e calorici pasti ad un conveniente prezzo fisso), che cercavamo la sera prima in compagnia di un folto gruppo di ragazze norvegesi ma senza trovarlo. Esecuzioni di band dal vivo, gente che balla dappertutto e birra a fiumi, con le sole pause per gli shot di vodka liscia, all’incredibile prezzo di quasi nove euro l’uno. Farò conoscenza con un enorme quanto gentile motociclista vestito di pelle, con il cranio luccicante senza capelli e due folti baffi, che qualche sera dopo ritroverò senza riconoscerlo se non per la sua insistenza nel volermi offrire una birra.

Arriviamo alla terza sera, che per noi doveva essere l’ultima a Stoccolma e quindi assolutamente da festeggiare. 

Si comincia nel pomeriggio con una bottiglia di Stolichnaya di riscaldamento, comprata alla rivendita di alcolici, visto che nei supermercati le uniche bevande contenenti alcol sono le birre diluite, che segnalano in bell’evidenza la percentuale di alcol del due, due e mezzo per cento. 

Ci concediamo una cena bbq in un grazioso ristorante, portando con noi un’altra bottiglia, nascosta sotto il tavolo che Andre userà di volta in volta per rendere più brillanti le nostre birre medie. Lascio quindi intuire che piega abbia preso la cena con noi quattro che annaffiavamo ogni boccone delle abbondanti porzioni di carne con birra scura ravvivata dalla trasparente bevanda russa con l’etichetta bianca e rossa.

Appuntamento con le nostre improvvisate guide svedesi Mikaela e Sofia e con le loro due amiche, la splendida Sofie e la folle Elina. Terminiamo la bottiglia tra una metropolitana e l’altra dirigendoci in discoteca. E qui se ne vedono delle belle tra balli con gente mascherata, buttafuori ed addetti alla sicurezza che camminano tra la gente squadrandola in cattivo modo, e addette al bar che rifiutano di servire ad Andre e Chiedy altre consumazioni, proponendo dell’acqua. Dopo qualche ora di delirio ricordo che siamo finiti fuori dal locale ed un enorme buttafuori tratteneva Elina al suolo con il peso della sua grassa gamba, fino all’arrivo della polizia, credo solo per qualche parola di troppo, o almeno questo è ciò che ho capito dalle spiegazioni di un altro addetto a cui avevo chiesto il perché dell’accaduto. Salutate le ragazze torneremo in ostello regalando le corone che ci rimanevano in tasca ad un giovane e furbo tassista. 

Il mattino seguente, ancora intontiti, notiamo grande agitazione all’interno dell’ostello, sia da parte degli ospiti che degli impiegati. Apprenderemo poco dopo la notizia dell’eruzione del vulcano Eyjafjallajokull che con le sue ceneri e polveri ha coperto gran parte dei cieli del nord e del centro Europa, paralizzando il traffico aereo, come confermerà anche il sito della RyanAir.

Mentre la maggior parte delle persone è nel panico e cerca altri modi per tornare a casa noi quattro ci abbracciamo ridendo e gridando, la festa continua fino a data da destinarsi.

Usciamo quindi per girovagare senza meta, con i nostri teddy neri e biachi e continuando l’abitudine di sostare ogni tanto presso un Seven Eleven per comprare delle banane che, secondo noi, avrebbero riportato i nostri organismi verso una sana alimentazione in contrasto con tutte le porcate da fastfood che ingerivamo ogni giorno per non mantenere basse le spese. Nel pomeriggio, rifornimento al solito Systembolaget, con i suoi rigidi orari e giorni d’apertura, studiati anche questi per dissuadere l’assunzione di alcolici. 

Nell’area comune dell’ostello, al piano interrato, dove tra le varie camerate ci sono i tavoli con i computer e la cucina, ci accomodiamo sui divani e su alcune sedie, iniziando a sorseggiare vodka e succo d’arancia, miscelate alla perfezione da Andre.

Ci raggiungono Stijn e Hans anche loro con una bottiglia di vodka, Sarah e Litz, poi Laura e Sophia, due ragazze svizzere conosciute il giorno prima e il gruppo si allarga poi con la tedesche Janina, Anna e Maria. Occorre uscire nuovamente a prendere un’altra bottiglia, la tavolata si allarga, si chiacchiera, si ride e si fa casino quasi con tutti, in inglese, in italiano, in francese, in tedesco ed in nuove lingue che verranno create sul momento per rendere più facili le conversazioni. Gente che va e che viene dalle camerate, dai bagni, dalla zona esterna, qualcuno sparisce e poi riappare con altre bottiglie, tutti gli ospiti dell’ostello sono in festa, tranne uno. Una persona, in un angolino, in silenzio, un ragazzo polacco se ne sta in disparte fissando attraverso i suoi sottili occhiali rettangolari il suo computer portatile, immerso negli affari suoi e che ogni tanto ci lancia delle occhiate di disprezzo.

Tentiamo allora di farlo partecipare, di includerlo nella festicciola dedicata al vulcano offrendogli un sorso. Rifiuta l’offerta e dopo qualche secondo ci guarda con fare schifato e ci chiede il perché di tutto questo, ma non riferendosi a questa sorta di festeggiamenti, ci chiede perché siamo così devoti all’alcol e alla distruzione, perché secondo lui per un pomeriggio di allegria stavamo portando le nostre anime dritte dritte all’inferno. Chiedy e Pierre, vicini a lui restano un po’ spiazzati e, dopo uno scambio di sguardi, rispondono con un sorriso dicendo che stiamo solo condividendo del tempo con altre persone e che il bere tutti insieme facilità le relazioni, Andre allora tiene per se il tazzone da colazione riempito di vodka e succo d’arancia e ne prepara altri per noi.

Il pomeriggio prosegue così ed in serata saranno parecchi i locali che non ci faranno entrare perché apparivamo un po’ troppo allegri e quindi temevano che provocassimo disastri. Dopo vari tentativi, di cui sinceramente ne ricordo solo alcuni, torneremo poi in ostello ed il mattino seguente mi risveglierò con la nomina di Crazy Gianni.

La situazione del cielo non migliora, anzi i venti fanno si che le polveri si spostino verso sud rendendo necessaria la chiusura di altri aeroporti ed incrementando il caos in tutta Europa. Un’alternativa poteva essere rappresentata dal raggiungere in treno o autobus Copenaghen e successivamente proseguire verso sud via terra, ma degli amici di Stijn che erano sul luogo comunicavano che in molti avevano optato per questa soluzione, paralizzando la capitale della Danimarca.

Poco male, l’ostello mette a disposizione degli ospiti delle biciclette a titolo gratuito per due ore, saliamo in sella e pedaliamo a lungo, fino quasi ad uscire dalla città stessa. Occupiamo il nostro tempo facendo fotografie, scovando altri angoli della città e sfruttando al massimo l’ottimo sistema di piste ciclabili.

Al nostro rientro c’è poca gente nell’area comune e lui, il ragazzo polacco, si trova nello stesso angolo con il suo computer. Ci saluta, ricambiamo, poi deposita il computer in camera ed esce. Mentre io e gli altri tre perdiamo tempo su internet e cerchiamo qualche aggiornamento sulla situazione del vulcano lui ritorna con gli occhi che gli brillano, un sorriso da ebete ed una bottiglia di vodka nel sacchetto con il logo verde e giallo del Systembolaget. Inizia a bere, in solitaria, per qualche minuto. Poi tenta di coinvolgere Mark, il nerd inglese, che lo guarda stranito. Successivamente chiede ad un paio delle ragazze norvegesi che nel frattempo parlavano con noi di organizzare un karaoke o una festa, riceve un’altra risposta negativa, al ché torna nel suo angolo e continua a bere, noi sorseggiamo in tranquillità qualche Falcon Export.

Nelle giornate successive continueremo a dilettarci in passeggiate casuali per il centro, qualche bevuta in ostello con gli altri ragazzi costretti dal nostro stesso destino e serate presso l’Harry B James, dove ritroverò il mio grosso amico motociclista e fingerò di riconoscerlo al primo colpo anche se in realtà sarà solo grazie al suggerimento di Pierre.

A qualsiasi ora passassimo dalla zona comune del piano interrato lui è sempre li, il giovane polacco che inizialmente ci condannò ai gironi infernali era sempre nel suo angolino con una splendida abbronzatura da ostello, termine coniato da Chiedy e riferito alla colorazione dai toni ospedalieri che si assume dopo ore di esposizione alle luci artificiali del City Backpackers. Da solo, con il suo computer impegnato a giocare a poker online e una bottiglia di vodka a fargli compagnia. Nel giro di pochi giorni era diventato tutto ciò di cui noi eravamo accusati di rappresentare, si era letteralmente trasformato.

Durante una delle nottate venne commesso un crimine, Andre dimenticò il suo teddy su uno dei divanetti dell’area comune, il mattino seguente nessuna traccia. L’amata giacchetta nera con i dettagli e la P in bianco non si trova, non è nella nostra camerata, non è sotto i cuscini dei divani, non è stata trovata dalle signore delle pulizie e non è stata consegnata in reception. Oltre alla giacca mancano all’appello anche due ragazzi francesi, dapprima ospiti a pagamento dell’ostello che han passato poi un paio di notti dormendo sui divani proprio di fronte alla scena del crimine. Il nostro sospetto cade erroneamente su di loro e, quando li troviamo seduti per terra nella strada principale a chiedere qualche moneta, ci rechiamo immediatamente a chiedere spiegazioni, senza esito.

Mesi dopo, durante il mio viaggio dalla California all’Argentina, il nostro caro amico chef argentino che vive in Svezia, da noi rinominato amichevolmente Mick Jagger, pubblicherà su Facebook una sua foto con indosso un teddy nero con la P. Sapendo che era un capo particolare che solo un paio di negozi di Torino trattano gli faccio una battuta e avviso Andre, Chiedy e Pierre che anche loro lo riconoscono. Non avremo mai la certezza assoluta che fosse il teddy rubato ad Andre, ma credo che non ci vogliano gli esperti della scientifica per confermarlo.

Ad eccezione di questo sgradevole inconveniente le giornate e le nottate passavano in maniera piacevole, ogni mattina la compagnia aerea confermava che non c’era il volo aereo e noi di conseguenza confermavamo un’altra notte in ostello. Quelli che dovevano essere quattro giorni erano diventati già una decina ed iniziavamo a trovare conferma delle prime impressioni sulla città e sulla vita locale, in tutti gli orari e nei diversi giorni della settimana. 

Ci trovavamo bene in questa bella capitale del nord, con le sue imponenti residenze storiche in contrasto con strutture moderne e di design, ma quando prevedi di passare quattro giorni fuori casa ed invece diventano più del doppio, la spesa prevista viene superata con tutte le conseguenze del caso, inoltre io sarei dovuto tornare a lavoro. Dovevamo quindi trovare una soluzione per tornare indietro.

Internet riconferma l’impossibilità di volare ed il blocco di autobus e treni in partenza da Copenhagen.

La prima tappa è in autobus, da Stoccolma a Malmö, partenza in serata e viaggio di otto ore nella buia notte, interrotto da un cambio di mezzo in una località indefinita, pieno deserto.

Trascorriamo la mattinata in questa cittadina, sul mare, dove ad accoglierci c’è il freddo, i gabbiani e i mattoni rossi. Consultando la guida scopriamo che prima del Duemila era uno dei posti più malfamati in Svezia, poi con la costruzione del ponte che porta a Copenaghen ha cambiato volto. Qualche giorno prima c’era stata raccomandata proprio da Mick Jagger.

Verso ora di pranzo arriva il nostro benefattore, Mr. Brun, il papà di Pierre che con la sua epica Honda Shuttle 2.2i con quasi cinquecento mila chilometri all’attivo, è venuto a prenderci. Con lui alla guida, la signora Brun di fianco, partiamo dopo pranzo alla volta di Copenhagen, attraversando l’Öresund, il ponte che collega la Svezia alla Danimarca appunto.

Nella capitale danese passiamo giusto qualche minuto prima di ripartire alla volta di Gesder, località a sud dove ci aspettava il traghetto verso Puttgarden, in Germania.

La traversata dura poco meno di un’ora, ricomincia il tragitto on the road verso sud, attraverso le perfette autostrade tedesche, contornate da foreste verde scuro. Superata Amburgo ci fermiamo in un motel a Brunautal dove, dopo una cena in pieno stile crucco con wurstel, salsicce, crauti e kartoffel, ci concediamo finalmente una doccia e dei comodi letti in cui riposare.

Ripartiremo il mattino seguente in direzione Francia, cambiando poi rotta dirigendoci a Basilea ed infine a Berna, dove ci attendeva un modernissimo treno per Milano. Una piccola sosta a Berna per salutare e ringraziare i signori Brun, merenda veloce e biglietti fatti.

Il treno scivola veloce e silenzioso tra paesaggi da cartolina di vallate verdi, boschetti e fattorie, a fare da sfondo le amate alpi con le cime innevate.

Una volta giunti a Milano ci separiamo da Chiedy, atteso da un suo amico per tornare in auto verso Pavia. Io, Andre e Pierre invece attendiamo ancora un’oretta per il treno che ci riporterà finalmente a Torino. Dopo circa cinquanta ore dalla nostra partenza da Stoccolma, siamo arrivati, ma non è finita qui. 

Escludendo che siamo riusciti a perderci per uscire dalla stazione di Porta Susa, rifatta ed ammodernata, ad attenderci c’era la nostra gentile autista Federica e, venti minuti dopo, eravamo in Piazza Vittorio, al Lab a brindare al nostro rientro con caraffe di vodka cooler e shot vari, una degna conclusione per quella che doveva essere una breve vacanza di quattro giorni per festeggiare la laurea di Chiedy e per stare un po’ insieme e che poi si è trasformato in un piccolo ma epico viaggio.